Sapere riconoscere i segnali della violenza sulle donne in tempo utile, chiedere aiuto a persone qualificate se si pensa di essere una potenziale vittima, a 20 come a 80 anni. Eliminare alla radice comportamenti sessisti e pericolosi stereotipi se si opera nell’ambito dell’educazione e del servizio pubblico. E favorire il dialogo tra le istituzioni con corsi di formazione pensati per dirigenti come per i genitori, per donne e per uomini, ma anche protocolli di collaborazione concreta, se si lavora dalla parte dei diritti e della sicurezza.
Sono solo alcuni dei “comandamenti” utili per far fronte alla drammatica escalation dei femminicidi.
Si è parlato di questo e tanto altro stamattina nel corso dell’incontro organizzato nella sala “Russo” di via Crociferi, dalla CGIL di Catania, insieme allo Spi, all’Auser e al Coordinamento donne, dal titolo “Il contrasto alla violenza di genere: dalle parole ai fatti” coordinato da Nicoletta Gatto, presidente AUSER Catania.
L’appuntamento è stato organizzato nell’ambito del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Non solo un’iniziativa di informazione sul fenomeno, ma anche un modo per focalizzare ciò che deve ancora essere fatto. La Cgil, in concreto, chiede alla prefetta di Catania l’istituzione di un Osservatorio sulla violenza di genere, come già accaduto in occasione del terribile stupro commesso ai danni di una minorenne alla Villa Bellini.
I numeri? Fanno male. dall’inizio dell’anno sono 96 gli omicidi di donne, di cui 82 avvenuti in ambito familiare ed affettivo e di queste 51 sono state uccise da partner o ex.
Dopo i saluti di Carmelo De Caudo, segretario generale della Cgil, che ha ricordato come il sindacato “a tutti i livelli, nazionale e territoriale, non si fermi un solo giorno nel dedicare le proprie energie per l’eliminazione della violenza contro le donne”, si sono susseguiti contributi di sindacaliste, studiose, attiviste e alti rappresentanti di giustizia e pubblica sicurezza.
Ad aprire gli interventi è stata Maria Carmela Librizzi, prefetta di Catania, che ha subito ricordato le “4 P” della Convenzione di Istanbul, e cioè prevenzione, protezione, procedimento contro i colpevoli e politiche integrate. La prevenzione è di certo il primo obiettivo che il territorio sta attivando in molti modi e se non verrà raggiunto non si potrà passare dalle parole ai fatti.
Anche le vigilanze, secondo la prefetta, vanno sempre attivate. Al momento sono 600 quelle aperte a Catania.
“Riceviamo cinque segnalazioni al giorno e spesso le donne vittime di violenza non hanno indipendenza economica. – ha detto Librizzi- Cerchiamo di prevenire anche organizzando seminari di formazione per i giornalisti perché spesso la descrizione dell’episodio di violenza si sforza di capire colui che lo effettua; questo accade anche in alcune sentenze”.
Per la segretaria confederale della Cgil, Rosaria Leonardi, è ad esempio centrale il ruolo della scuola pubblica, tanto che il sindacato “ha chiesto al governo di prevedere nei programmi scolastici in modo strutturale le ore di educazione all’affettività, alla sessualità ed alle pari opportunità”, a partire dai bambini e dalla scuola per l’infanzia.
A Catania e in diversi istituti situati in zone periferiche e quartieri difficili, continua Leonardi, da anni si è dato avvio a progetti in questo senso “ma si tratta sempre di azioni sporadiche e che riguardano interventi che non hanno omogeneità su tutti gli istituti, che dipendono dalla sensibilità del dirigente scolastico e dal collegio dei docenti ma per i quali non c’è un coordinamento”.
Non c’è solo la risorsa scuola da sfruttare; il tema della violenza con le sue sfaccettature deve “essere trattato nei corsi di aggiornamento sulla sicurezza che vengono fatti obbligatoriamente ogni anno nelle aziende”. Inoltre tutti i contratti di lavoro prevedono norme per favorire il monitoraggio e le denunce di casi simili, anche relative alle discriminazioni sul lavoro, ma spesso non vengono resi funzionali. Servono però datori di lavoro sensibili.
Margherita Patti, segretaria Spi Cgil con delega alle politiche di genere, sottolinea “che dal 2020 i femminicidi sono in aumento, tanto che molti ipotizzano una relazione con la clausura da Covid”.
“Analizzando il dato di questa crescita esponenziale, – continua Patti- l’elemento più significativo riguarda proprio l’età delle vittime: poco meno della metà aveva più di sessant’anni. Hanno un età compresa fra i 71 e i 90 anni il 25% delle donne uccise per mano di un uomo in ambito famigliare. Quasi sempre si tratta di un ex marito o un marito, certe volte di un figlio”.
Da un’ indagine eseguita dallo Spi nazionale attraverso un questionario anonimo è emerso – prosegue la segretaria dello Spi – “che il 60 per cento delle donne catanesi ultrasessantenni ricevono “pressioni psicologiche” e comportamenti persecutori, dal partner passato o attuale. Il 47 per cento dichiara di avere subito minacce e aggressioni fisiche nel corso della vita e ben il 70 per cento dichiara di avere subito minacce e aggressioni sessuali, di cui il 40 per cento avvenute prima dei sessant’anni. Le riflessioni finali consegnate al questionario suggeriscono alle istituzioni, nel 50 per cento dei casi, l’avviamento di percorsi di sensibilizzazione, per il 30 per cento delle intervistate, l’irrigidimento delle pene per chi commette violenza sulle donne, per il 20 per cento la formazione del personale sanitario”.
Inevitabile la commozione quando a intervenire è stata la presidente dell’associazione “Io sono Giordana”, Vera Squatrito, “vittima collaterale” di femminicidio perché madre di Giordana Di Stefano, giovane uccisa nel 2015 a Nicolosi con 48 coltellate dall’ex fidanzato. “Le donne oggi denunciano molto di più, ma la magistratura sottovaluta il fenomeno. È il momento in cui le istituzioni devono attuare le leggi senza buonismo, anche se i maltrattanti hanno sedici anni. Non è necessario farne altre. La stampa vuole sapere tutto delle donne ammazzate, con una comunicazione morbosa ed errata. Non si rendono conto che le vittime restano sempre tali, a causa di una società che punta il dito e le giudica. Di norma le donne uccise vengono di nuovo uccise nelle aule di tribunale, e accade anche agli orfani che incamerano la violenza come tale. L’esempio della famiglia è fondamentale. Gli esseri senza anima, i maltrattanti, sono anche figli, di donne e di uomini. La prevenzione siamo tutti noi. Iniziamo dalle parole usate nelle nostre case”.
Lo psicologo responsabile del CUAV, Centro per uomini autori di violenza, “Il primo passo”, Antonello Arculeo, ha raccontato di un progetto attivo in tutta Italia, “Respiro”, che si occupa anche degli “orfani speciali”. “Questo era un fenomeno sconosciuto. Siamo partiti da 24 nuclei di 37 orfani. Dal 2010 ad oggi abbiamo seguito 155 femminicidi. Collaboriamo bene con la questura e curiamo anche percorsi pensati per maltrattanti”.
Chiarissima e appassionata come sempre la sociologa Graziella Priulla, applauditissima dalla platea: “ll corpo delle donne rimane al centro dell’immaginario e ancora non è chiaro che c’è femminicidio quando si ammazza una donna perché donna. Dopo l’emozione grandissima e unanime del caso Giulia Cecchettin, è iniziata il calo dell’attenzione non appena la sorella ha parlato di patriarcato. Il 75% degli assassini delle donne poi si suicidano: a cosa servono l’ inasprimento delle pene e i braccialetti elettronici? I centri antiviolenza sono poco conosciuti e pubblicizzati, e non sostenuti economicamente. Il femminismo ci ha insegnato che i modelli vanno scardinati. E questo può accadere a partire dalla scuola”.
La segretaria regionale dello Spi Sicilia, Concetta Balistreri, nota invece “che non c’è una vera reazione maschile nella società quando succedono fatti di questo tipo. Abbiamo sotto gli occhi le reazioni delle madri, delle donne, singolarmente e no. Ma gli uomini? Sappiamo che c’è un dislivello enorme tra la percezione tra i sessi quando si discute di violenza. Un appello lo faccio anche agli uomini della Cgil”.
Ha chiuso i lavori della mattinata la responsabile Politiche di genere della Cgil Sicilia, Elvira Morana: “Quando pensiamo alla violenza dobbiamo pensare a tutti noi. Tantissimo è stato fatto. Ma non c’ è ancora un approccio sistemico culturale, sia rispetto alla donna sia rispetto alla violenza, che risulti orientato. Dopo il codice rosso sono aumentate le denunce ma pochissimi i processi che si chiudono con una condanna. Nessuno studia questo dato e nessuno ne parla. Siamo stati Regione apripista per la violenza di genere, ma l’ osservatorio non funziona da 4 anni, meno che mai la cabina di regia che doveva prevedere tutti gli assessorati”.
All’incontro è intervenuto anche il dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Catania, Salvatore Montemagno (che esorta: “facciamo rete”) e Maria Vagliasindi, già presidente della Corte d’appello di Caltanissetta (“oggi parliamo di prevenzione e soltanto velocità e competenza possono essere uno scudo contro la violenza sulle donne”).
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