In tendenza

Smantellata rete criminale internazionale: arrestato un presunto torturatore operante in Libia

L'indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dalla Sezione Criminalità Straniera della Squadra Mobile di Ragusa, è partita dal fermo dell'indagato il 15 luglio 2024 per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Su delega della Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, il personale in servizio alla Squadra Mobile di Ragusa ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di A.A., cittadino straniero di nazionalità bangladese (classe 1999), ritenuto gravemente indiziato di appartenere a un’associazione per delinquere operante in Libia, Bangladesh e Italia. Tale organizzazione sarebbe finalizzata alla commissione di reati di riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Inoltre, l’indagato è accusato di aver commesso in Libia i reati di riduzione in schiavitù, tortura e sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni di un connazionale.

L’articolata attività d’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dalla Sezione Criminalità Straniera della Squadra Mobile di Ragusa, ha avuto origine dal fermo dell’indagato, eseguito il 15 luglio 2024 dalla Polizia Giudiziaria, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In particolare, una delle vittime di tali condotte delittuose, dopo un lungo periodo di prigionia in Libia, durante il quale avrebbe subito torture disumane e degradanti, sarebbe riuscita a raggiungere l’Italia grazie al pagamento di ingenti somme di denaro da parte dei familiari residenti in Bangladesh. Una volta giunto nel Paese, il soggetto è stato collocato nell’hotspot di Pozzallo, dove avrebbe riconosciuto l’indagato, anch’egli arrivato in Italia in seguito a uno sbarco separato. Sulla base delle indagini – fermo restando il principio di presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – A.A. sarebbe stato uno dei suoi carcerieri e torturatori in Libia.

Terrorizzata dall’incontro con il connazionale, e dopo aver ricevuto nuove richieste di denaro, la vittima si è rivolta ai responsabili dell’hotspot per denunciare le violenze subite durante la prigionia in Libia. Le successive indagini, supportate dalle dichiarazioni della vittima (rese agli investigatori e poi confermate in incidente probatorio) e dall’analisi del cellulare sequestrato all’indagato, avrebbero rivelato l’esistenza di una rete criminale con base in Libia e ramificazioni in Bangladesh e Italia. Tale organizzazione sarebbe dedita alla gestione dei flussi migratori dal Bangladesh alla Libia e, infine, all’Italia.

Le indagini avrebbero inoltre delineato il ruolo dell’indagato, che – salvo diversa valutazione in sede dibattimentale – sarebbe stato un uomo di fiducia dei vertici dell’organizzazione, con il compito di sequestrare e torturare le vittime. Avrebbe inoltre intrattenuto rapporti con i familiari dei prigionieri, costringendoli a versare ingenti somme di denaro per ottenere la loro liberazione. In particolare, insieme ad altri complici non ancora identificati, avrebbe mostrato, tramite videochiamate, scene di torture di estrema violenza inflitte ai prigionieri, chiedendo ai loro parenti il pagamento di riscatti in cambio della loro liberazione.

Durante l’attività investigativa, grazie al coinvolgimento dei familiari della vittima in Bangladesh, sono stati acquisiti file audio e video che documenterebbero le torture inflitte, nonché fotografie comprovanti i pagamenti effettuati per il rilascio della vittima e il suo trasferimento in Italia. Al momento della denuncia, sul corpo della persona offesa erano ancora visibili numerose cicatrici, segni indelebili delle sevizie subite.

Considerato che i reati di riduzione in schiavitù, sequestro di persona a scopo di estorsione e tortura sarebbero stati commessi all’estero da un cittadino straniero, il Ministro della Giustizia ha richiesto che si procedesse penalmente in Italia nei confronti dell’indagato. A seguito di tale richiesta e dell’attività investigativa svolta, la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania ha avanzato istanza di applicazione della misura cautelare in carcere, accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari.


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni