Sbarcati a Catania i 52 migranti soccorsi l’11 marzo dalla Life Support di Emergency. “Si è conclusa, così, la missione numero 16 della nostra nave”, afferma la ong. Le operazioni sono terminate alle 23,15 di ieri. Tra loro una donna e un minore non accompagnato; provengono da Bangladesh, Siria, Pakistan, Egitto e Nigeria.
La barca in difficoltà era stata individuata dal ponte di comando della Life Support, dopo una segnalazione di Alarm Phone. Spiega Luca Radaelli, membro dell’equipaggio della Life Support: “Il 9 marzo avevamo tentato di soccorrere 40 persone arrivate a bordo della piattaforma tunisina di estrazione del gas Miskar, in zona Sar maltese. La piattaforma ci aveva dato inizialmente l’autorizzazione a effettuare il soccorso, ma in un secondo momento non ci ha permesso di avvicinarci, chiedendoci di trasferire le 40 persone dalla piattaforma a una nave della Marina tunisina con i nostri gommoni. Ci siamo rifiutati perché la Tunisia non può essere considerata un porto sicuro: è un Paese dove sono documentate sistematiche violazioni dei diritti umani, discriminazioni razziali, torture e abusi per le persone migranti”.
“Le condizioni sono stabili e non ci sono casi medici gravi – spiega Sara Chessa, infermiera a bordo della Life Support – durante la navigazione, hanno sofferto di mal di mare a causa delle condizioni metereologiche difficili che abbiamo incontrato. Speriamo che possano avere una vita migliore nel prossimo futuro”.
La nave di Emergency effettua missioni nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa al mondo, dal dicembre 2022. In sedici missioni, ha soccorso 1.271 persone.
“Ho lasciato il mio Paese, il Bangladesh, perché non potevo sostenere la mia famiglia. Sono arrivato in Libia circa sei mesi fa per lavorare perché un conoscente mi aveva detto che avrei trovato facilmente un lavoro, che la vita costava poco e avrei avuto un buono stipendio”. E’ il racconto di un 29enne.
“Avevo poche altre opzioni, così – aggiunge – ho deciso di lasciare la mia famiglia per mettermi in viaggio. Arrivato in Libia, insieme ad altre persone del mio Paese sono stato portato in un capannone fuori da Bengasi; ci hanno detto che avremmo iniziato a lavorare, ma che saremmo stati pagati dopo tre mesi di lavoro”.
Allo scadere di questo periodo, gli hanno detto che non lo avrebbero pagato e che doveva andarsene se non voleva subire ritorsioni: “Ho capito – prosegue il suo racconto – che chi mi aveva convito a partire veniva pagato dai libici per far arrivare persone dal Bangladesh e sfruttarle. Non potevo restare in un Paese dove la violenza è usata al posto della legge. Ci ho messo tre mesi per farmi mandare dalla mia famiglia i soldi necessari per pagare il viaggio in mare. Ora sono al sicuro”.
La Ocean Viking di Sos Mediterranee ha soccorso 25 persone da un gommone alla deriva, avvistato in Sar libica. Secondo le prime testimonianze raccolte dal team della Ong, l’imbarcazione ha trascorso circa 7 giorni in mare aperto. I migranti hanno raccontato che “molte persone sono morte”.
“Tutti i naufraghi sono sotto le cure dei nostri medici ed è stata richiesta un’evacuazione medica – aggiunge Sos Mediterranee – per 2 persone in condizioni critiche. È stato necessario attivare il piano d’emergenza medico di massa al fine di curare i sopravvissuti, tutti in condizioni di estrema vulnerabilità fisica e mentale”.
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