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Lavora a Milano, studia a Catania: la storia di “pendolarismo estremo” di Claudio

"La giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina"

“Pendolarismo estremo”: lo definisce così Claudio Carastro, un ragazzo di 24 anni della provincia di Catania, il percorso che recentemente lo ha portato a conseguire una laurea in Economia Aziendale, facendo la spola tra Milano e Catania. Lui lavora al nord, in uno studio di commercialisti, ma si è iscritto all’Università di Catania consapevole di doversi sottoporre a continui viaggi tra le due cittL 1.400 chilometri di distanza. A riportare la notizia con tanto di intervista il portale Skuola.net. Ecco di seguito uno stralcio.

Come nasce il termine “pendolare estremo”, con cui definisci la tua vicenda studentesca?

“Mi è venuto in mente quando, durante la lettura di un bando per le borse di studio, lessi una tabella che riportava varie attribuzioni a seconda della distanza dello studente fuorisede. Si partiva dai “pendolari a stretto giro”, al di sotto dei 15 km di distanza, per poi proseguire a scaglioni. Ovviamente il mio caso era fuori da ogni schema, così pensai che, con una distanza di 1.420 Km non potevo che essere un “pendolare estremo””.

Quante volte all’anno dovevi recarti fisicamente a Catania?

“Fondamentalmente per sostenere gli esami. Ma era comunque un sacrificio. Per rendere l’idea, la giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina, dopo una rapida preparazione mi dirigevo in aeroporto, dove parcheggiavo l’auto. Il volo tendenzialmente partiva tra le 5.30 e le 6.00 ed era l’unico che mi permetteva, salvo imprevisti, i quali ovviamente si palesavano spesso, di essere presente per l’orario di inizio dell’esame generalmente alle ore 9.00/9.30. Durante il volo, 1 ora e 35 minuti, avevo modo di simulare l’esame nella mia mente, la quale si spegneva in una stanca dormiveglia.

Arrivavo a Catania, prendevo il bus che mi lasciava davanti la facoltà, il tempo di un caffè e successivamente entravo in aula. Finito l’esame, se restava ampio margine prima del volo ritorno, che sovente partiva all’ultimo orario disponibile (22.30/23.30), rientravo volentieri al mio paese, a trovare la mia ragazza, gli amici e i parenti. Altrimenti, se avevo meno tempo, passeggiavo per Catania e attendevo l’orario per tornare direttamente in aeroporto. Il rientro avveniva, causa continui ritardi dei voli, verso le 2 di notte. L’indomani ricominciava la giornata di lavoro in studio, sicuramente con maggior vigore se l’esame era stato superato”.

Che “tabella di marcia” dovevi rispettare per conciliare un lavoro comunque impegnativo con lo studio a distanza?

“Il mio obiettivo è sempre stato quello di concludere il percorso acquisendo tutte le competenze e nozioni fornite dal programma di studio, per cui per la preparazione di una materia a volte necessitava anche di oltre un mese e mezzo di preparazione. Sfruttavo ogni momento libero della giornata: studiavo sul treno durante il tragitto verso lo studio con il quale collaboro ormai da alcuni anni, o mentre rientravo a casa, o durante la pausa pranzo, o ancora appena rientrato a casa, ecc. Sicuramente il weekend era il momento in cui massimizzavo gli sforzi, anche se ciò comportava dover rinunciare a molti aspetti legati alla vita sociale, per non andare eccessivamente oltre con le tempistiche del percorso”.

La strategia per andare avanti con gli esami, invece, qual era?

“L’iter base prevedeva il superamento per ciascun appello di due esami, per due materie differenti. La difficoltà principale che ho dovuto affrontare era la sfida costante con la consapevolezza di non poter sbagliare. Avevo un solo tentativo per ogni materia: lo ripetevo sempre a me stesso. Un passaggio a vuoto avrebbe comportato un dispendio ulteriore di energie e di soldi, un carico supplementare di stress, nonché lungaggini dei tempi di completamento. Ogni errore faceva slittare all’appello successivo. Con un approccio del genere sono riuscito a terminare il percorso di studi in poco più di 3 anni e mezzo, arrivando a 4 con la discussione della tesi”.

A questo punto la domanda sembra scontata: perché non hai scelto un corso di laurea a Milano? Sarebbe stato più comodo…

“La mia forma mentis, la mia istruzione, la mia crescita derivano tutte dal percorso fatto nella mia terra. Per cui, se da un lato le strade si sono divise per varie ragioni, dall’altro ho nutrito il sentimento di creare un legame indissolubile con essa, concludendo il mio percorso di formazione, per l’appunto, in Sicilia, la quale investe per me, come per tutti gli altri studenti, nella nostra formazione. E poi, in qualche modo, ho voluto dimostrare che le università al Sud sono valide tanto quanto le università del Nord”.

Per leggere l’intervista integrale, sul portale Skuola.net


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