«Il muro o il lenzuolo restano bianchi, non c’è filìnia di sangue… non c’è traccia di niente, perché scattìa in silenzio, il cervello, scattìa senza testimoni e si può solo fare diagnosi, né cura né prevenzione, solo diagnosi». Con la scrittura di Silvana Grasso, la regia di Salvo Piro e l’interpretazione di Franco Mirabella e Manuela Ventura arriva in scena, in prima assoluta, La scattiàta. Il debutto della pièce inedita prodotta dal Teatro della città – Centro di produzione teatrale è in programma per sabato 25 marzo, ore 21 (replica domenica 26 marzo, ore 17,30).
Un gioiello d’eccellenza siciliana per uno sguardo dissacrante e attualissimo sui fallimenti piccoli e grandi che si annidano nelle nostre storie quotidiane.
«La Scattiàta, Rosita Romeo, e il presidente di Corte d’ Appello, Nannino Vannantò, sono due facce dello stesso fallimento, il Sessantotto, la certezza di ripiantare il mondo, di spezzare il giogo dell’asservimento, della palude sociale, delle carriere assicurate dal ruolo dei padri», dice l’autrice, la pluripremiata scrittrice Silvana Grasso qui alla sua prima drammaturgia.
«La Scattiàta e Vannantò, entrambi giovanissimi , lei, bellissima laureanda in filosofia affascinante, sulle barricate della rivolta sessantottina che doveva cambiare il mondo, lui, bruttino timido insignificante laureando in legge, con il viso sfigurato da uno spaventoso angioma. La vita adulta, la mancanza di coraggio, l’opportunismo travolgono tutti, senza esclusione, tranne la Scattiàta che, proprio per avere tenuto fede alla sua militanza, tutti considerano “scattiàta”, fuori di testa così assolvendo carriere fondate su reati e misfatti d’ogni tipo. Fortunosamente si rivedono quarant’anni dopo, lui presidente di corte d’appello, da sempre innamoratissimo di Rosita, lei, sfigurata nel corpo dalla miseria e dal tempo che, non ne ha però asservito e prostituito gli ideali. Fingono di non riconoscersi, ma ognuno sa bene chi è l’altro, tra i due un dialogo serratissimo, a tratti drammatico a tratti poetico, metafora di un più grande dramma, essere uomini».
«I due si rincontrano – spiega il regista – e si avventurano in un confronto dialettico sulla Vita e sulla Morte, sulla Poesia, la Fantasia, l’Amore. Ma questa è solo la superficie, la maschera. Tutto si aggroviglia, si ammatassa direi, attorno al tema della Verità, di cosa è vero e cosa no, gli ideali, i luoghi comuni, la corruzione, i successi e i fallimenti di chi ha vinto e di chi continua sempre e solo a perdere ma senza saperlo. È possibile accettare il copione che la vita ha scritto per noi o può avere senso riscriverlo? Come in un gioco illusionistico, i personaggi e i temi si moltiplicano, si sdoppiano, si raddoppiano, si triplicano, si confondono, convergendo però sempre sull’eterna domanda: dove siamo? E cosa siamo venuti a fare qui? Ecco, La Scattiàta è un giardino di specchi: quando ci sei dentro puoi perderti, restando incantato nell’illusione. Ogni cosa che vedi può essere reale oppure solo un riflesso e se vai in cerca della verità puoi restarne stordito, perché la Verità non è osservabile, non può essere detta, può essere forse colta nel silenzio, e per lo più di notte, nella solitudine di un cimitero magari, davanti alla tomba di una sconosciuta che non si sa se davvero, poi, sia morta».
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni