Il fenomeno criminale nel Catanese appare “articolato e complesso, con consolidate consorterie riconducibili a “Cosa nostra” cui si affiancano altri sodalizi criminali pure fortemente organizzati, seppure inclini a evitare contrapposizioni con le compagini più agguerrite”. È questa la fotografia del quadro criminale scattata oggi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario dal presidente della Corte d’appello di Catania Filippo Pennisi.
L’attenzione sul territorio della provincia di Catania, si evidenzia come la famiglia catanese di “Cosa nostra”, ossia l’egemone clan Santapaola-Ercolano, continui ad articolarsi in squadre operanti in taluni quartieri catanesi, tra cui Librino, San Cosimo, Villaggio Sant’Agata, Picanello, San Giovanni Galermo, con ulteriori articolazioni territoriali operanti nella provincia etnea, specie in paesi come Paternò (gruppi Assinnata e Alleruzzo), Adrano (gruppo Santangelo, detto “Taccuni”) e Biancavilla (gruppo Tomasello-Toscano-Mazzaglia). Altri gruppi sono presenti in Bronte e Maniace, nonché a Mascalucia, Lineri, San Pietro Clarenza e Belpasso. Nella zona ionica sono presenti gruppi mafiosi a Giarre, Mascali e Fiumefreddo di Sicilia, con propaggini nei territori della provincia di Messina rientranti nella competenza distrettuale catanese (Cesarò e San Teodoro). “Nonostante il permanere di tendenziali condizioni di non belligeranza tra i principali schieramenti, frutto di condivise politiche di spartizione del territorio, di consonanze affaristiche e di alleanze prodromiche a convergenti disegni criminali – è scritto nella relazione – non sono però mancati gravi, ancorché sporadici, episodi di aperta conflittualità tra i clan, come lo scontro a fuoco avvenuto l’8 agosto 2020 tra esponenti del clan Cappello ed esponenti dei “cursoti milanesi”, che causò due morti e sette feriti”. Il procedimento penale ha portato anche sei soggetti che hanno deciso di collaborare con la giustizia.
Nell’organizzazione criminale mafiosa è sempre più frequente l’inserimento di mogli e compagne degli affiliati nell’organigramma delle consorterie; il business delle famiglie catanesi rimane il traffico delle sostanze stupefacenti in collaborazione con la ‘ndrangheta e la camorra. Ma c’è anche la tendenza di infiltrarsi negli “appalti di lavori pubblici e relativi subappalti, filiera dei prodotti petroliferi, lavorazione dei prodotti agricoli e grande distribuzione e, in generale, ogni tipo di attività che possa consentire il reinvestimento di capitali illeciti, anche attraverso l’opera compiacente di professionisti e imprenditori apparentemente estranei a logiche criminali”, viene evidenziato per l’inaugurazione dell’anno giudiziario dal presidente della Corte d’appello di Catania Filippo Pennisi.
“I gruppi criminali operanti nel distretto proseguono la strategia del cosiddetto inabissamento, funzionale ad evitare situazioni di allarme sociale idonee ad attirare l’attenzione delle Istituzioni e delle Forze dell’ordine. Le loro linee d’azione continuano ad essere finalizzate a perseguire, più che il monopolio dell’attività criminale di basso profilo, l’esclusiva degli interessi di portata strategica o che comunque garantiscano un ritorno economico particolarmente redditizio. Permane l’elevato interesse della criminalità organizzata per le risorse stanziate per il rilancio del Paese, come pure per le specifiche garanzie pubbliche accordate in favore degli istituti di credito per i finanziamenti concessi alle imprese e da destinarsi ad investimenti o costi per il personale”.
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