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I dodici finalisti del Premio Strega al Catania Book Festival. Pienone in sala 

È stato un successo la prima giornata del Catania Book Festival che ieri è stata caratterizzata dalla prima nazionale dello Strega Tour per la prima volta a Catania nella storia del Premio

Un palco dominato dall’ immagine di una maga dallo sguardo ipnotico e il tratto medievale. Un pubblico entusiasta e di tutte le età, che ha riempito la grande sala.

Dodici scrittori di calibro nazionale al centro dell’attenzione, tutti semifinalisti del prestigioso Premio Strega.

È stato un successo la prima giornata del Catania Book Festival che ieri è stata caratterizzata dalla prima nazionale dello Strega Tour per la prima volta a Catania nella storia del Premio.

A ringraziare la Fondazione Bellonci e il direttore territoriale Sicilia e Calabria della BPER banca, Giuseppe La Boria, è stato l’ideatore e direttore del Catania Book Festival, Simone Dei Pieri.

I finalisti sono stati intervistati dai giovani scrittori siciliani Lorena Spampinato e Mattia Insolia.

Silvia Ballestra, con “La Sibilla. Vita di Joyce Lussu”, (Laterza) ha raccontato del suo fortunato incontro con la partigiana, scrittrice, traduttrice e poetessa italiana che “aveva una grande capacità di rapportarsi con i più giovani; lavorava anche con i bimbi per fare Storia”.

Maria Grazia Calandrone, con il suo “Dove non mi hai portata” (Einaudi) ha narrato  la sua storia personale che da bambina l’ha resa protagonista di un fatto di cronaca. Calandrone è andata alla ricerca delle radici della sua madre biologica che, in fuga con il compagno perché  “colpevoli” di adulterio, l’ha  lasciata all’ingresso di Villa Borghese per poi togliersi la vita: “È come se avessi adottato mia madre di cui mi sono innamorata dopo averne conosciuto la storia. Sono diventata la madre di mia madre”.

Andrea Canobbio, con il suo “La traversata notturna” (La nave di Teseo) decide di compiere un viaggio nella sua città, Torino, trasformata per l’occasione in un grande teatro della   memoria. “La malattia di mio padre e la reazione di mia madre erano alla base di tutto quello che scrivevo ma stavolta c’è una terza protagonista: la città”.

Il fenomeno editoriale Gian Marco Griffi, con il suo “Ferrovie del Messico” (Laurana Editore) ha spiegato come il suo libro “nasca dal desiderio di raccontare un momento tragico e confuso come fu la Repubblica di Saló, ma in maniera ironica e grottesca”.

Per Vincenzo Latronico, autore de “Le perfezioni” (Bompiani), è la storia della coppia dalla vita apparentemente perfetta che si sgretola nell’inconsistenza del sogno diventa la storia possibile di molti di noi: “La patina dell’insoddisfazione che  aumenta e che intrappola si posa nelle vite e nella casa di questi protagonisti. Ma racconto anche del nostro essere immersi in un flusso continuo di immagini digitali  che ci ha cambiato la vita. È questo che mi premeva raccontare”.

Per Romana Petri, il suo “Rubare la notte” (Mondadori) è anche il risultato  del rapporto speciale con il padre. “Mi raccontava tutta l’Odissea mentre nuotava nel mare di Santa Marinella. Poi mi ha parlato de il “Volo di notte” di Saint Exupery e ho avuto accesso allo scrittore. Ho deciso di raccontarlo”.

Per Rosella Postorino, scrivere “Mi limitavo ad amare te” (Feltrinelli) ha significato fare i conti con il suo personaggio Omar, che ha dieci anni e passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da troppi giorni non viene, e lui non sa più nemmeno se è viva. Omar vive il dramma della Sarajevo degli anni ‘90. “Per ragazzi come questi che si rifugiarono nel nostro Paese, l’Italia fu una terra estranea ma anche straniera. Nel romanzo mi chiedo cosa succede quando noi siamo salvi ma quelli che amiamo no?”

Igiaba Scego, scrittrice italo-somala nella sua “Cassandra a Mogadiscio”(Bompiani) racconta le umiliazioni della vita da immigrati nella Roma degli anni Novanta, ma non solo: “Tutta la storia coloniale italiana è stata rimossa. Eppure c’è una storia in comune tra Italia e Somalia e persino due lingue sovrapposte”.

Per Andrea Tarabbia, autore de Il continente bianco (Bollati Boringhieri), “scrivere è come pagare un debito d’amore nei confronti di chi leggi. A un certo punto della mia vita mi sono innamorato di Parise, e sono entrato ne “L’odore del sangue”, un libro a cui in un certo senso manca una costola; andava sgrezzato”.

Maddalena Vaglio Tanet, autrice di “Tornare dal bosco” (Marsilio) ha raccontato la storia  di  Silvia, una maestra che esce di casa una mattina e invece di andare a scuola entra nel bosco. La ragione è da ricercare nel suicidio di una sua alunna. “La donna è investita da questa notizia, le sue gambe la portano verso il bosco, da cui non esce più. Non vuole essere aiutata, né confortata. Vorrebbe farsi bosco, in un certo senso spellarsi di dosso la coscienza umana che le fa vivere questo lutto.”

Carmen Verde ha presentato il suo  “Una minima infelicità” (Neri Pozza). Annetta Baldini è una bambina rimasta minuta nell’aspetto, con una madre bella ma vacua. Vivono “diverse forme di infelicità”. “Ho provato a spalmare la piccolezza anche nella fisicità del libro, con capitoli brevi. Quando vogliamo elogiare qualcosa la definiamo come grande, quando la vogliamo degradare come piccina, minima. Tuttavia la minima infelicità di Annetta è costruita a misura del suo piccolo corpo.”

Ada D’Adamo, l’autrice di Come d’aria (Elliot), è purtroppo scomparsa poche settimane fa, ma alla serata è intervenuta Loretta Santini, direttrice editoriale di Elliot.


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