Vittorio Sgarbi racconta Antonio Canova in un nuovo spettacolo in scena sabato 7 gennaio (ore 21) al Teatro Angelo Musco di Catania, per il cartellone dei Grandi Eventi.
Antonio Canova (Possagno,1757 – Venezia,1822) è ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura e soprannominato per questo “il nuovo Fidia”. Intimamente vicino alle teorie neoclassiche di Winckelmann e Mengs, Canova ebbe prestigiosi committenti, dagli Asburgo ai Borbone, dalla corte pontificia a Napoleone, sino ad arrivare alla nobiltà veneta, romana e russa. Tra le sue opere più note si ricordano Amore e Psiche, Adone e Venere, Ebe, Le Tre Grazie, Paolina Borghese, Ercole e Lica e la Venere italica.
A duecento anni dalla morte del Canova, Vittorio Sgarbi celebra la vita di un artista moderno ripercorrendone le opere attuali per poetica e risultati estetici. Accendendo dialoghi impossibili con alcuni artisti coevi, e non, è ricostruito un periodo cruciale della storia dell’arte e della società che fu.
Canova è vivo perché le sue opere continuano a vivificare il nostro presente con la loro esistenza che possiamo ammirare dal vivo alla Gypsotheca di Possagno, ai Musei Vaticani e alla Galleria Borghese, al Louvre, all’Hermitage e in numerosi musei del mondo, alcune di queste opere sono qui riunite per una serata immaginaria, uno spettacolo da non perdere per ripartire curiosi a visitare con occhi nuovi i musei e le loro collezioni.
Un viaggio che mostra non solo la grandezza e unicità di Canova, ma anche quanto il suo genio sarà un punto di riferimento dell’arte a venire.
Allo scultore Vittorio Sgarbi ha dedicato anche il suo ultimo saggio, “Canova e la bella amata” (La Nave di Teseo, 2022). Il critico d’arte, di recente nominato sottosegretario ai Beni culturali, nel 2017 ha ritrovato a Cremona proprio un’opera commissionata allo scultore nel 1811.
“Fu nel marzo del 2017 – scrive nel libro – Ero a Cremona, per vedere alcune opere in una casa di campagna a San Felice. La bella architettura neoclassica a fianco del Santuario era ricca di notevoli decorazioni e di quadri, ma era nei modesti ambienti di servizio del piano superiore che mi attendeva una inattesa quanto sorprendente scultura. Davanti a me era, di incredibile nitore, in marmo statutario di Carrara, un busto di donna, con i capelli raccolti in un nastro, firmato sul retro ANT. CANOVA. F.A. 1811”.
Sgarbi, con la sua prosa elegante, restituisce Canova alla sua grandezza in continuità con Raffaello, artefici entrambi di una rinascita dei valori classici. Dalla Venere italica alle Tre Grazie, dalla Pace di Kiev – che oggi non possiamo vedere perché minacciata dai bombardamenti in Ucraina – all’abbraccio di Amore e Psiche, fino al ritratto di una donna misteriosa.
“L’arte di Canova è un pensiero complesso e quasi sfuggente, capace, comunque, di evocare traumi infantili, delusioni amorose, attrazioni erotiche represse, malinconici rimpianti, ‘eroici furori’, creando, talvolta, una vera e propria epopea della vita e della morte, risolta nel segno della Redenzione. Molto di quel Canova è andato perduto; solo la parola dello studioso può evocarlo, ricorrendo a suggestivi paralleli con la poesia di Keats e di Foscolo, o con la musica di Beethoven, per restituire, così, all’artista tutto il senso della sua grande impresa”.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni