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Catania, oggi e domani all’Ardizzone Gioeni “Antigone” di Nèon

"Chiave della felicità è la saggezza... Le parole arroganti degli uomini superbi si scontano con gravi colpi del destino..."

Ancora una volta la straordinaria poetica di NèonTeatro ospite del Music Opera Festival nello scenario unico della corte dell’Ardizzone Gioeni di Catania, con le visioni di Monica Felloni e Piero Ristagno nell’ambito di un progetto del Liceo Spedalieri di Catania con tutor la prof.ssa Francesca De Santis e l’aiuto regia di Manuela Partanni, porta in scena testi antichi ed immortali restituendoli ai loro più intimi significati contemporanei.

Antigone viene rappresentata da Sofocle nel 442 a.C e narra l’epilogo di uno dei miti greci più famosi, quello della famiglia di Edipo.

Eteocle e Polinice, nati – come Antigone e Ismene – dall’incestuosa unione di Edipo e Giocasta, sono caduti l’uno per mano dell’altro, dopo che il secondo aveva attaccato Tebe per appropriarsi del potere detenuto dal fratello. Il cadavere di Polinice, l’eroe che è considerato traditore della patria, giace adesso insepolto per volontà di Creonte (fratello di Giocasta e nuovo sovrano della città), che ha riservato soltanto a Eteocle gli onori funebri.

Contravviene all’editto Antigone, sorella dei due eroi, che, ricoprendo di terra il cadavere di Polinice, tenta di dare la giusta sepoltura al fratello, ma, scoperta dalle guardie, viene trascinata davanti al sovrano, da cui è condannata ad essere murata viva in una grotta. Il cadavere del giovane Polinice diventa il fulcro di un conflitto che vede fronteggiarsi due forze opposte, inflessibili e inconciliabili: l’implacabile Creonte rappresenta rigidamente la ragion di Stato, egli è il garante dell’ordine della polis, che onora i giusti e condanna i malvagi e pone le leggi, i nomoi, come fondamento del vivere civile; la giovane donna, fiera e intransigente nel portare avanti i suoi ideali, è pronta invece a morire pur di onorare i legami del sangue e gli ancestrali agrapta nomima, le leggi non scritte deli dei, incrollabili ed eterne e contrapposte ai kerugmata , gli editti degli uomini. Sia l’eroina sia il suo antagonista commettono, l’una agli occhi dell’altro, un atto di hybris.

Non c’è dunque possibilità di dialogo, e proprio dall’assolutezza delle loro posizioni deriva la rovina di entrambi.

Antigone si impicca all’interno del suo carcere-sepolcro, determinando con tale gesto la caduta repentina dello stesso Creonte (che si ravvede per consiglio di Tiresia, ma troppo tardi): la morte della fanciulla causerà infatti quella di Emone e di Euridice, rispettivamente figlio e moglie del sovrano.

Gli eroi sofoclei, di elevata statura morale, sono figure possenti, incapaci di scendere a compromessi. Sofocle rappresenta gli uomini – dice Aristotele – non come sono ma come dovrebbero essere. Per questo motivo la grandezza degli eroi è contrassegnata sempre da una disperata solitudine e proprio in virtù del loro eroismo – anzi schiacciati da esso – questi sono destinati a soccombere. Così Antigone, figura monolitica, incapace di piegarsi, compie il suo gesto d’amore seppellendo il fratello e poi procede verso la morte in una condizione di isolamento e di solitudine, “senzacompianto e senza amici”.

L’inflessibile Creonte, arroccato nella sua posizione, che nasce dalla fiducia assoluta nell’autonomia della ragione, paga in modo atroce la sua tracotanza.

In antitesi con i due personaggi principali sono costruiti quelli di Ismene ed Emone. Ismene, sorella di Antigone, è fragile, incapace di resistere al potere, pur essendo legata alla famiglia e soffrendo per essa. Emone, il figlio di Creonte (nonché promesso sposo di Antigone) si pone invece contro il padre, perché è convinto che uno stato non esista se appartiene ad uno solo: quindi per lui un capo che non tenga conto dell’opinione dei cittadini “regna sul deserto”. Tra padre e figlio il dissidio è insanabile.

La visione di Sofocle è tragica: “non c’è vita umana di cui si possa parlare, nel bene o nel male, come di una cosa stabile” (vv.1155-1156).

Come conclude il coro, “Chiave della felicità è la saggezza; non dobbiamo fare torto agli dei. Le parole arroganti degli uomini superbi si scontano con gravi colpi del destino…”


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