Stop al licenziamento disciplinare del cassiere del supermarket che allunga la mano nel ripiano di merendine e si mangia un piccolo snack del valore di 70 centesimi sotto gli occhi del sorvegliante senza pagarlo e senza curarsi di mimetizzare l’accaduto. È irrilevante, infatti, che il contratto collettivo sanzioni con l’espulsione l’appropriazione di beni aziendali quando il comportamento non è suscettibile di scuotere la fiducia. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Cassazione che ha respinto il ricorso di una società.
La corte d’appello ha confermato la decisione del tribunale che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato per mancanza di proporzionalità della sanzione in relazione al fatto oggetto di addebito. In particolare il dipendente era stato incolpato di aver prelevato uno snack dall’espositore adiacente alla cassa ove operava e di averlo mangiato, senza pagare il corrispettivo. Il collegio di secondo grado ha premesso che nella verifica della giusta causa occorreva avere riguardo non all’assenza o speciale esiguità del danno arrecato al datore di lavoro ma alla qualità del singolo rapporto intercorso e al grado di affidamento che quel rapporto implicava. Ebbene nel caso in esame dalla dinamica dei fatti non emergeva alcuna cautela frodatoria da parte del lavoratore il quale, in modo visibile e senza allontanarsi dalla sua postazione lavorativa, non aveva posto in essere alcun particolare accorgimento atto a occultare il suo gesto tant’è che era stato prontamente ripreso dal responsabile. Né potevano rilevare i due precedenti disciplinari a suo carico perché afferivano a condotte tra loro eterogenee. La vertenza è così giunta in Cassazione dove la società ha contestato la decisione per non avere considerato che il contratto collettivo sanzionava l’appropriazione di beni aziendali sul luogo di lavoro con la sanzione espulsiva.
Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “è escluso che le previsioni collettive si configurino quale fonte vincolante in senso sfavorevole al dipendente. Infatti l’esistenza di una nozione legale di giusta causa comporta che il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta rientri nell’attività valutativa del giudice di merito, attività da svolgere avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, in relazione alla quale la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce solo uno dei possibili parametri cui fare riferimento. Ne consegue, ha proseguito la Corte, che è sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali. In sostanza le previsioni dei contratti collettivi hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore. Deve quindi escludersi, ha concluso la Cassazione, che configuri un errore di diritto della sentenza impugnata la mancata riconducibilità della concreta fattispecie all’ipotesi di furto, punita con sanzione espulsiva dalla norma collettiva. Senza successo dunque la ‘Roberto Abate spa in liquidazione’, la catena della grande distribuzione che ha dichiarato ‘guerra’ per la merendina -, che ha protestato in Cassazione facendo presente che la contrattazione collettiva sanziona “l’appropriazione di beni aziendali sul luogo di lavoro con la sanzione espulsiva”.
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