Una notte per svelare ciò che non era mai stato detto. Tre sorelle vegliano, come nelle vecchie tradizioni siciliane, il marito morto della sorella minore. Il velo del silenzio, del pudore, delle bugie viene squarciato da un vortice di confessioni… C’è questo alla base dello spettacolo Taddrarite (pipistrelli in dialetto siciliano) che vede protagoniste Donatella Finocchiaro, Luana Rondinelli, Giovanna Mangiù nei panni delle tre donne che, proprio come pipistrelli, hanno sempre vissuto nell’oscurità violenze e sopraffazioni domestiche, che in una notte di lutto trovano la via per manifestarsi. Scritto e diretto da Luana Rondinelli, con scene e costumi di Vincenzo La Mendola, musiche Ottoni Animati e Roberta Prestigiacomo, lo spettacolo prodotto dal Teatro della Città, approda, dal 5 al 7 maggio (ore 21, domenica ore 17.30), al Piccolo Teatro della Città di Catania.
Il testo, che pone l’accento su una tematica delicata e quanto mai attuale con lo scopo di scuotere le coscienze attraverso il teatro, è stato vincitore del premio come miglior spettacolo e miglior drammaturgia al Roma Fringe Festival. Grottesca e ilare è la visione drammatica della vita di queste donne: si ride e si sorride, e si ha il coraggio di affrontare con sarcasmo le violenze che non avevano mai osato confessare. Passata la lunga notte, l’anima del defunto, secondo tradizione, ha finalmente lasciato la casa e il nuovo silenzio che avvolge le tre sorelle è ora intessuto di forza, di voglia di reagire e combattere perché ogni donna non dovrà nascondersi e nascondere più.
“Una storia “focosa”, crudele, come la mia terra – spiega l’autrice Luana Rondinelli – . Una storia vera di donne succubi, schiave, “sciroccate”, prese alla gola dalla morsa del destino che le accomuna, dai segreti stretti in grembo, dalle lingue morse pur di non parlare ed evitare la vergogna per rendersi coraggiose e sopportare le violenze subite dai mariti. Ho scelto la via dell’istinto, dell’ironia, dei sorrisi amari pur di non farle cadere sconfitte; la via delle parole sussurrate, senza prepotenza e con l’ingenuità e la tristezza che mi accomuna alla vita di “sti fimmine”.
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