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A Catania e provincia l’assistenza domiciliare per gli over 65 è sotto la media nazionale

"La distribuzione dell'attivazione del servizio nei rispettivi distretti rileva dati ancora più problematici"

Una società che cambia, la mutata domanda di salute, le sfide dell’invecchiamento della popolazione e della cronicità, rendono le cure domiciliari (l’ADI, assistenza domiciliare integrata) una delle attività strategiche del SSN. Ma a Catania e provincia, soprattutto nelle zone piu urbane, siamo ancora lontani dagli standard nazionali. Di questi temi, dello stato dell’arte dei servizi nella provincia di Catania, con gli ultimi dati fino al 2022, delle criticità e delle possibili soluzioni si è parlato oggi a Catania (all’Hotel Sheraton) nel convegno: “Anno 2022: l’ADI nell’Asp di Catania. Una fotografia”. Organizzato dal Centro Studi e Ricerche Giulio Alfredo Maccacaro di Fismu (Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti) e dall’associazione scientifica Artemisia e con il patrocinio dell’OMCeO di Catania, ha portato i saluti il dott. Alfio Saggio, presidente O.M.C e O. Quindi sono intervenuti come relatori e nella tavola rotonda finale, dott. Marco Alise, segretario regionale FMT (Federazione Medici Territoriali), il dott. Salvo Calì presidente Centro studi ricerche sociali e sanitarie Giulio Alfredo Maccacaro di FISMU, il dott. Antonino Condorelli direttore tecnico centrale operativa ADI CT, la dott.ssa Orietta Inserra, Associazione Artemisia, il dott. Domenico Grimaldi, segretario provinciale FIMMG CT, la dott.ssa Daniela Campagna, Responsabile UVM Asp Catania- San Luigi, il dott. Antonino Rizzo, tesoriere Associazione Artemisia, il dott. Giuseppe Squillaci il direttore UOC coordinamento e controllo ADI, cure palliative, RSA, lungodegenze ospedaliere ASP CT, la dott.ssa Caterina Testaì, la direttrice sanitaria consorzio SISIFO, la dott.ssa Rosa Zito, assistente sociale azienda ospedaliera Cannizzaro. I lavori si sono conclusi con una tavola rotonda con i relatori (nella foto).

I DATI E LO STUDIO

All’apertura dei lavori, Salvo Calì e Antonino Rizzo hanno evidenziato l’importanza dello studio sul ruolo strategico dell’ADI: “Alla luce dello scenario demografico ed epidemiologico profondamente mutato già al declinare del secolo scorso, e i cui tratti sono destinati ad accentuarsi, assistiamo al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e allo spostamento in alto della piramide dell’età con un incremento significativo della percentuale delle persone appartenenti alla terza e alla quarta età. Si vive più a lungo, e si vive anche meglio, ma in valori assoluti ci si ammala di più, con una forte prevalenza delle malattie croniche. In questo contesto le cure domiciliari (e più precisamente l’ADI, assistenza domiciliare integrata) rappresentano una delle attività strategiche del SSN).”

“A differenza delle patologie acute – continua Rizzo – la cui risposta sanitaria è affidata all’ospedale sia nei casi di emergenza/urgenza con il ricorso al pronto soccorso sia nei casi di ricovero programmato, le patologie croniche richiedono una adeguata rete di servizi territoriali in grado di soddisfare la domanda di salute della cosiddetta medicina di prossimità che, pur avvalendosi della tecnologia moderna sempre più raffinata ed efficace, è assicurata prevalentemente da persone, i professionisti, che aiutano persone, i malati, di cui non ci si aspetta una guarigione, quanto piuttosto il mantenimento delle funzioni vitali e della autonomia relazionale. In questa direzione diventa centrale il ruolo e la regia del medico di medicina (di famiglia), al quale deve essere affidata la reale presa in carico del paziente”.

“Il primo dato che emerge dal report a cura del Centro Studi di Fismu – sottolinea Calì – è quello della percentuale di pazienti ultra sessantacinquenni assistiti in ADI nell’ASP di Catania, pari al 2,58%, percentuale lontana dalla media nazionale (4%). La distribuzione dell’attivazione del servizio nei rispettivi distretti rileva dati ancora più problematici: in particolare quando si guarda al distretto della città di Catania all’interno del quale insistono anche i comuni di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia (complessivamente più di un terzo della popolazione della provincia) dove la percentuale si attesta all’1,58%, buona ultima rispetto a tutti gli altri distretti che presentano performance superiori soprattutto nelle aree periferiche (Bronte, Caltagirone, Palagonia, Giarre), laddove comunque la densità demografica è decisamente più bassa. È come se le zone territorialmente più distanti dal centro si avvalgano dell’ADI surrettiziamente in mancanza di altri servizi in grado di soddisfare la domanda di salute. L’attivazione dell’ADI nell’ASP appare quindi molto disomogenea e le cause di questa frammentarietà sono molteplici. L’altra indicazione che emerge infatti con prepotenza dall’analisi dei dati è lo scarto tra la programmazione, di cui al capitolato, e la reale esecuzione del servizio. La insufficiente attivazione della presa in carico di pazienti complessi, previsti nel terzo livello (6%), fa il paio con il numero preponderante delle prestazioni di primo e secondo livello (87,17%), in continuità con il servizio precedente. Non già quindi la presa in carico del paziente attraverso la cosiddetta ‘ospedalizzazione domiciliare’, quanto piuttosto la risposta a bisogni contingenti, che si esauriscono nella esecuzione della prestazione professionale, per quanto di qualità. Segnali ulteriori di questa impostazione sono la scarsa o nulla attivazione delle dimissioni protette e l’assenza di una articolata diagnosi e prognosi nei PAI. Facciamo un appello a Regione e Aps, serve un cambio di rotta: riconoscere la centralità dell’ADI, più territorio, più risorse, migliore organizzazione. È urgente ripensare la sanità sulle sfide delle cronicità e dell’invecchiamento della popolazione”.


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