Nell’ambito di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno dato esecuzione, con il supporto dello Scico, dei Comandi Provinciali di Milano, Brescia, Roma, Pesaro, Ragusa, Siracusa ed Enna nonché del I Gruppo Catania e delle unità Cinofile (AT-PI) etnee, a due ordinanze con cui il Gip del locale Tribunale ha applicato misure cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 16 soggetti, a vario titolo indagati, unitamente ad altre 17 persone, per associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (Foi), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante utilizzo di Foi, omesso versamento di ritenute previdenziali e di Iva, autoriciclaggio e riciclaggio di denaro illecito.
Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania, avrebbero fatto emergere un raffinato e sofisticato sistema di frode fiscale su scala nazionale, con regia unica su Catania, realizzato abusando dei vantaggi normativi in tema di “distacco di personale” previsti per i contratti di “rete tra imprese”.
Il diffuso sistema di frode sarebbe stato alimentato dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui avrebbero fatto parte 37 società con funzione di “distaccanti”, operanti in molteplici località del territorio nazionale, e 439 imprese “distaccatarie” dislocate in tutto il Paese (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), utilizzatrici di personale in posizione di distacco.
Nell’ambito di tali reti, caratterizzate da una regia unitaria in Catania, le società capofila: avrebbero agito da meri “serbatoi di manodopera” e sarebbero state organizzate secondo le esigenze gestionali del “sistema”, il cui core business si sarebbe limitato esclusivamente a consentire il distacco dei lavoratori a scopo di lucro nei confronti di 439 società retiste o distaccatarie. Dopo avere accumulato un debito tributario e contributivo significativo, sarebbero state sistematicamente poste in liquidazione e sostituite da altre società che avrebbero assorbito i medesimi lavoratori, posti nuovamente in distacco a favore della stessa impresa beneficiaria.
Un ruolo centrale nella realizzazione delle condotte delittuose sarebbe stato svolto da un soggetto di origini agrigentine ma residente a Catania, che si sarebbe avvalso di due studi di consulenza operanti nella città etnea, uno legale e uno amministrativo. Nel dettaglio, l’associazione a delinquere vedrebbe il principale indagato nella veste di capo e promotore, l’avvocato dello studio legale quale promotore ed organizzatore e ulteriori 14 soggetti, in qualità di membri, con ruoli gestori dei profili operativi e amministrativi delle reti di imprese.
Sotto la direzione del promotore del sodalizio e dei suoi collaboratori, le società caporetiste o fondatrici delle diverse reti di imprese succedutesi nel tempo avrebbero emesso Foi caricandosi di importanti debiti Iva, destinati a non essere onorati, consentendo a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio: incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti e ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti.
Per gli organizzatori del sistema di frode, i guadagni illeciti sarebbero derivati dalla presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli e fraudolente per le società coinvolte nella frode e dalla sistematica omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali dei lavoratori e dell’Iva incassata sulle Foi emesse. I “numeri” del sistema fraudolento darebbero contezza della vastità del fenomeno, atteso che, in soli 5 anni, il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre 61 milioni di euro, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa 25 milioni.
Gli ingenti proventi di natura illecita sarebbero stati in parte reimpiegati verso specifiche società in parte dirottati a favore del promotore del sodalizio e di altri indagati, anche attraverso una vorticosa movimentazione di denaro contante, utilizzato per assicurarsi un tenore di vita molto elevato e per l’acquisto, in diverse occasioni, di beni rifugio o di lusso per 270 mila euro.
Per il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbero inoltre emerse due peculiari figure romane prive di capacità reddituale, le quali avrebbero consegnato in plurime occasioni contanti di rilevante importo, ritenuti di provenienza illecita, al principale indagato per poi emettere, nella veste di amministratori di fatto di 3 società romane, fatture nei confronti delle imprese facenti capo di fatto allo stesso promotore. Quest’ultimo, poi, avrebbe effettuato bonifici alle predette aziende romane a saldo delle fatture per un importo complessivo di € 8,7 mln, consentendo ai soggetti capitolini di rientrare in possesso del denaro consegnato.
Sulla scorta delle evidenze acquisite dal Nucleo Pef di Catania, il Gip etneo ha ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in ordine ai reati contestati disponendo la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, gli arresti domiciliari per 7 indagati e l’obbligo di presentazione alla p.g. per ulteriori 4 persone nonché il sequestro delle quote di 37 società, di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili ai destinatari della misura per un valore totale di circa 29 milioni.
Le misure cautelari sono state emesse nell’ambito delle indagini preliminari, basate sulle attuali risultanze probatorie. Pertanto, in attesa del giudizio definitivo, vale la presunzione di innocenza degli indagati.
L’attività si inserisce nel quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza e dalla Procura della Repubblica di Catania a tutela della finanza pubblica, con complesse indagini volte, da un lato, a contrastare le più insidiose forme di frode fiscale e riciclaggio che ledono gli interessi finanziari della collettività e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.
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