Questa Procura Distrettuale della Repubblica, nell’ambito dell’attività investigativa svolta dai Carabinieri della Stazione di Catania Piazza Verga a carico di un 62enne, già uomo d’onore di “cosa nostra etnea” che annovera precedenti per 2 omicidi, sequestro di persona, occultamento di cadavere, associazione di stampo mafioso e rapine, adesso indagato per “maltrattamenti in famiglia”, ha richiesto ed ottenuto nei suoi confronti, da parte del GIP del Tribunale di Catania, la misura cautelare della custodia in carcere, eseguita dal medesimo Comando.
Le indagini, coordinate dal pool di magistrati qualificati sui reati che riguardano la violenza di genere, in uno stato del procedimento nel quale non è ancora intervenuto il contraddittorio con l’indagato, hanno fatto luce sulle condotte messe in atto dall’indagato nei confronti della ex moglie, sin dal 2019, allorquando l’uomo era ancora detenuto in carcere per scontare una pena di 30 anni, terminata nel 2020.
La vittima, che negli anni sarebbe stata sottoposta ad un regime di vita vessatorio e umiliante, caratterizzato dalla denigrazione della sua persona e dal timore per la sua incolumità e per quella dei suoi figli, lo scorso marzo ha deciso di denunciare, riferendo ai Carabinieri di Piazza Verga di essere stata abitualmente vittima di insulti, minacce di morte e violenze da parte del convivente il quale, anche quando era ancora ristretto in carcere, l’avrebbe minacciata di morte lamentando la sua assenza ai colloqui e l’esiguità della somma che lei gli faceva pervenire settimanalmente: “Visto che mi fai fare brutta figura con gli altri carcerati, appena esco ti stacco la testa e la metto in mezzo alla strada per farla vedere in tutti i telegiornali”.
Sempre dal carcere, l’indagato, furioso perchè la moglie non lo avrebbe assecondato nella richiesta di minacciare i parenti al fine di ottenere in eredità esclusiva alcuni terreni, l’avrebbe minacciata di morte urlandole che oltre ad ammazzare lei avrebbe fatto del male anche ai loro figli.
La paura delle minacce patite e “l’amore per la famiglia” avrebbe, tuttavia, fatto sì che la donna rimanesse a convivere con lui una volta scarcerato. L’uomo però, invece di godere della riacquistata libertà e della presenza della moglie, non avrebbe perso occasione per esprimere il suo carattere arrogante e violento.
Tra i tanti episodi vessatori subiti, la vittima ha raccontato di quando, in prossimità del Natale 2023, il 62 enne, esigendo da lei una condizione di totale asservimento anche per preservare il suo status di “uomo d’onore”, l’avrebbe trascinata dinanzi ad un affollato bar di Mascalucia e qui le avrebbe sputato in faccia per punire il fatto che aveva osato dirgli “basta” ad alta voce e dinanzi ai dipendenti dell’attività ove lavorava: “Questo prova un uomo d’onore quando qualcuno gli alza la voce, anche se è sua moglie”.
In altre occasioni l’uomo l’avrebbe picchiata con una stampella, poi afferrata per il collo perché, a suo dire, la moglie “non si sottometteva e non gli portava rispetto” mentre, in altri frangenti, l’avrebbe costretta a restare sveglia assieme a lui tutta la notte, soltanto perché lui soffriva di insonnia.
Data l’escalation delle violenze, la vittima era fuggita di casa per rifugiarsi presso l’abitazione delle sorelle dove era rimasta per circa un mese, ma anche durante la sua permanenza qui, lui l’avrebbe tempestata di telefonate minacciandola di morte qualora non fosse ritornata da lui. Lei sarebbe stata costretta a tornare e sottomettersi sempre per tutelare i suoi figli, ma nel gennaio u.s., proprio dopo aver assistito ad una lite tra il marito ed il figlio e aver preso le difese di quest’ultimo, l’indagato l’avrebbe afferrata per il collo, cacciandola via di casa assieme al ragazzo. Nel frattempo l’uomo l’avrebbe insistentemente contattata al telefono, minacciando che avrebbe prelevato una pistola per uccidere sia lei che tutta la sua famiglia.
Tale grave episodio, non isolato né occasionale, ma ultimo di una sequenza di comportamenti sprezzanti e violenti costanti e reiterati nel tempo, unitamente al curriculum criminale vantato dall’indagato e alla sua pericolosità sociale, strettamente connessa ad atteggiamenti di sopraffazione, ha indotto l’autorità Giudiziaria a ritenere che la misura necessaria a soddisfare le esigenze cautelari fosse quella della custodia in carcere.
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