Gli auguri di Natale della Conferenza episcopale siciliana per i cristiani e per i siciliani tutti si vestono quest’anno di luce e di una speranza inamovibile. Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana, affida il suo messaggio a un video nel quale introduce quello che definisce “un altro Natale”: “Gesù ci viene incontro – dice -, ancora, mostrando pietà e misericordia di noi, nonostante ci impelaghiamo in guerre, uccisioni, stragi, violenze, fratricidi continui”.
E aggiunge: “Ricordando la sua prima venuta, in realtà, noi guardiamo al compimento pieno e questo complimento già ci è anticipato con la sua venuta nei sacramenti, nella preghiera del cuore, nell’accoglienza dei più poveri, del fratello, del migrante, in colui che implora pietà e misericordia. È per questo – continua – che non demordiamo e il nostro cuore non si rattrista, né tantomeno si deprime: la speranza non dipende da noi, dipende da Gesù Cristo che è presente e che ha vinto la morte con l’amore”. Una speranza, dunque, che “non finisce perché Lui è fedele, perché Lui è morto per noi, perché Lui ha promesso di essere sempre presente”.
L’invito forte è a “non lasciarsi buttar giù, a non lasciarsi abbattere“: pur avendo coscienza che “siamo molte volte nella polvere”, occorre che “alziamo gli occhi al cielo e sappiamo che lui ci solleva”.
L’ augurio di mons. Raspanti per tutti i siciliani e “per quanti, giovani e meno giovani, stanno tornando in questi giorni per vivere nelle famiglie gli affetti di sempre“, è che “la venuta del Signore Gesù e la sua luce dia luce a tutti noi” e che “sia speranza nel cuore di ciascuno, nel cuore di ogni famiglia, nel cuore di chi è solo. Che non si perda! – auspica – Anzi si rafforzi! Perché è fondata soltanto in Gesù che viene”.
Auguri di Buon Natale anche dall’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna:
Carissimi fratelli e sorelle, la lieta ricorrenza degli ottocento anni del presepe allestito a Greccio da San Francesco d’Assisi, mi fa entrare con questo messaggio augurale nelle vostre case e nelle vostre chiese, dove non mancherà certo una rappresentazione della Natività di Cristo Gesù. Il presepe non è una decorazione tra le altre, e sapete che ha un senso diverso dai “villaggi natalizi” che riproducono festosi paesaggi alpini o di una corona di vischio sulla porta: è la rappresentazione del mistero centrale del Natale, l’avvenimento per cui il 25 dicembre è festa. Anche Catania ha le sue tradizioni a riguardo: ho intravisto su alcune bancarelle gli antichi pupi catanesi con cui si allestivano i presepi nelle famiglie più umili, plasmati solo nella parte anteriore delle figure, per risparmiare la creta e i colori, e questa sobrietà dignitosa mi ha fatto pensare a quante generazioni, seppure con pochi mezzi, hanno voluto che un angolo della loro casa, chiesa domestica, diventasse una piccola Betlemme. Quest’anno voglio mettermi accanto a voi e chiedere a San Francesco di avere davanti al presepe il suo stesso desiderio, che era quello, come racconta un suo antico biografo, “di vedere i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato” (Tommaso da Celano). Il Santo di Assisi voleva vedere non i pastori con le zampogne o i magi avvolti nei loro splendidi mantelli; non gli interessavano le casette illuminate o le botteghe che riproducono gli antichi mestieri. No: egli voleva vedere i disagi che Gesù ha vissuto, come era stato deposto da Maria in una mangiatoia perché non c’era posto per la sua famiglia nell’albergo. San Francesco educa il nostro sguardo a cercare nel presepe la condizione che il Figlio di Dio ha scelto nel nascere, quella delle persone che vivono nella precarietà.
In qualche modo ci ha stupito: “…Gesù di Nazareth ha fatto sua la sorte dei più umili fra gli uomini, rovesciando in tal modo le logiche umane e manifestando così un volto di Dio inatteso” (Bruno Maggioni). Il Santo di Assisi, che ci affascina con la sua povertà e la sua lode al creato, ancora una volta “educa” il nostro sguardo, quello stesso sguardo che spalanca gli occhi per lo stupore davanti a fratello sole, a frate fuoco e sorella acqua, e ci fa cogliere i disagi di questo Neonato, che non sono certo uno spettacolo confortante e bello, ma ci rimandano al crudo realismo di tanti episodi del nostro tempo. Sono i disagi di coloro che hanno perso tutto a causa del terrorismo e della guerra; il disagio di chi non può curare i propri figli perché anche gli ospedali, sacri per ogni civiltà, sono stati distrutti da bombardamenti.
È la precarietà a noi vicina, fatta di situazioni in cui forse a tanti ragazzi non mancano una bicicletta elettrica o un motorino, ma cresce la precarietà del futuro perché la sua famiglia ha rinunciato mandarlo a scuola, e la spensieratezza in cui vive e la trascuratezza di cui è vittima, fra qualche anno forse si trasformerà nel dramma di un adulto senza un titolo di studio e un mestiere, vittima di chi farà di lui un manovale della mafia e dello spaccio di droga. Quella del presepe è la precarietà in cui viveva la donna ustionata, salvata dall’incendio di una casa a San Berillo, la cui storia di sofferenze non ci narrerà mai nessuno, ma Dio conosce, perché è sua figlia. E c’è tanto altro. Da quel giorno in cui Cristo è nato “le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell’onnipotenza di Dio. Anzi da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono diventi il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità” (don Tonino Bello). Poesia di circostanza, per azioni di circostanza come quella di donare dei panettoni ai poveri? San Francesco andò oltre, da buon cristiano qual era: quella Notte Santa, dice sempre il suo primo biografo, davanti al presepe “si lodò la povertà e si raccomandò l’umiltà…” (Tommaso da Celano). Cambiò il modo di vedere le persone, il cuore con cui giudicare le situazioni, fatto di umiltà più che di impeti di superomismo e di prepotenza.
Io auguro che lo sguardo di ogni figlio di Catania e dei Paesi etnei si posi pensoso sui presepi, per notare non tanto le statuine colorate, ma la stalla, il bue e l’asino, la mangiatoia, non come la cornice poetica di una favola, ma come i luoghi in cui il Figlio di Dio ci ha quasi costretto a volgere lo sguardo, per renderlo più sapiente e per spingerlo a mettere in atto azioni che allevino i disagi in cui vivono oggi tanti fratelli.
Buon Natale, con lo sguardo di San Francesco! Buon Anno con quei sentimenti di pace che nascono solo quando abbiamo imparato dal Figlio di Dio l’umiltà e la sua mitezza di Agnello! E a voi che abitate i presepi del nostro tempo: vi auguro di trovare la forza e incontrare la nostra fraternità di credenti per ritornare a sorridere ogni giorno.
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