La Direzione Investigativa Antimafia, articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha eseguito un provvedimento di confisca dei beni emesso dal Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione, nei confronti degli eredi di un imprenditore catanese, deceduto nel 2018, operante nel settore della raccolta di rifiuti solidi urbani e ritenuto contiguo alla criminalità organizzata.
Il Giudice della Prevenzione ha confermato, in larga parte, quanto già era stato valutato in sede di sequestro circa le tesi proposte dagli investigatori sulla passata pericolosità sociale dell’imprenditore e la dimostrata stretta correlazione temporale tra gli episodi in cui lo stesso intratteneva rapporti e faceva affari con la criminalità organizzata e la contestuale acquisizione del pregevole patrimonio aziendale e immobiliare che, già prima della sua morte, era stato trasferito ai suoi congiunti ed oggi è sottoposto a confisca.
L’imprenditore, nel 2017 era stato arrestato nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Piazza Pulita”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, in quanto ritenuto responsabile dei reati di tentata estorsione aggravata e danneggiamento aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose (clan Trigila), commessi nei confronti di una società che gestiva il servizio di raccolta rifiuti a Noto (SR).
Nel 2018, l’uomo veniva, nuovamente, tratto in arresto dalla DIA di Catania in esecuzione di un provvedimento applicativo di misura cautelare nell’ambito dell’operazione “Gorgoni”, anch’essa coordinata dalla Direzione Distrettuale di Catania, poiché ritenuto responsabile di aver preso parte all’associazione mafiosa, per concorso in corruzione e in turbativa d’asta ed intestazione fittizia di beni, reati tutti aggravati per averli commessi con il metodo e le modalità mafiose (clan Cappello).
Dalle due inchieste era emerso chiaramente il marcato profilo tipico del cosiddetto “imprenditore mafioso”.
Anche il Giudice per le Indagini Preliminari lo aveva definito “il volto imprenditoriale” del clan Cappello, dando una importante conferma sulle camaleontiche capacità della mafia di servirsi di affidabili e insospettabili imprenditori per il raggiungimento dei propri illeciti obiettivi.
L’imprenditore catanese era riuscito a costruire e sviluppare il suo impero economico convivendo attivamente proprio con il clan da ultimo citato con il quale era nato un vero e proprio rapporto sinallagmatico di reciproco vantaggio. Da una parte l’imprenditore riceveva “protezione” riuscendo, altresì, ad ottenere l’affidamento di importanti appalti pubblici, dall’altra la consorteria criminale veniva sostenuta economicamente.
Il rapporto era divenuto così intimamente profondo che l’imprenditore, conoscitore delle gerarchie interne al sodalizio e dei meccanismi di funzionamento del gruppo mafioso, si rivolgeva al capo pro tempore (oggi sottoposto al regime di carcerazione speciale del 41 bis OP), criticandolo per la sua inclinazione a circondarsi di affiliati di scarso valore e rimpiangendo i precedenti vertici.
È la stessa Autorità Giudiziaria, sulla base degli elementi probatori rilevati dagli investigatori ed emersi durante le articolate attività di indagine, a ritenere che l’imprenditore “fosse progressivamente assurto al rango di esponente di spicco del clan “Cappello” proprio per il suo ruolo e nell’esercizio della sua attività di imprenditore attivo nel settore della raccolta e gestione dei rifiuti”.
Con l’odierno provvedimento il Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione – che ha definito l’impresa mafiosa affermando che “l’attività imprenditoriale si è infatti costituita e progressivamente sviluppata grazie al costante contributo offerto dal clan di riferimento, un investimento quest’ultimo tale da giustificare, per un verso, la spendita della capacità di intimidazione del gruppo mafioso e, per altro verso, la partecipazione dello stesso gruppo criminale agli utili d’impresa”- ha, quindi, sottoposto a confisca il patrimonio che fu dell’imprenditore catanese deceduto e che è non ha mai fatto parte dell’asse ereditario del de cuius.
I beni a lui riconducibili, infatti, erano stati trasferiti fittiziamente ai familiari ben prima del suo decesso proprio per eludere la probabile misura di prevenzione che potesse essere disposta a suo carico.
Gli accertamenti patrimoniali condotti dagli investigatori della DIA hanno dimostrato una marcata sproporzione tra i redditi dichiarati dall’imprenditore e dal proprio nucleo familiare e l’imponente impero economico accumulato negli anni.
L’effettiva incapienza reddituale è stata dimostrata anche per il nucleo familiare del genero dell’imprenditore che è risultato il titolare della gran parte dei beni confiscati e direttamente riferibili al proposto.
Sono oggi in confisca ed amministrate dal Tribunale, tramite un amministratore giudiziario appositamente nominato, n. 2 aziende operanti nel settore della raccolta e gestione dei rifiuti, numerose unità immobiliari, un autoveicolo e rapporti bancari e finanziari.
Il patrimonio sottoposto a confisca è valutato in circa 18.000.000,00 euro.
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