Terremoto a Catania. Epicentro a mare. Entità moderata. “Meno male”: è il pensiero che accomuna tutti, impreparati a quel vuoto che si apre sotto i piedi quando la terra trema. Secondi di terrore che scuotono nuovamente il sistema. Un sistema ancora troppo fragile e impreparato, che mostra i nervi scoperti, che percuote le coscienze, mettendoci di fronte alla vulnerabilità di tutti. È da anni che architetti, costruttori, ingegneri etnei, sventolano quell’ipotetica fotografia catastrofica, puntando i riflettori sulla prevenzione. Studi, analisi, monitoraggi, convegni, conferenze stampa. Parole che fanno giri in lungo e largo: attraversano gli uffici, percorrono i corridoi politici, bussano alle porte istituzionali, ma si fermano sempre davanti a quel passaggio fondamentale che separa il “dire” dal “fare”. Aspettando risposte concrete. Leggi e indirizzi normativi chiari, snelli, incentivanti: uniche vie d’uscita per superare l’emergenza. Davanti allo stato dei fatti, da Catania si alza nuovamente un grido d’allarme.
“Continuiamo a ribadire a gran voce che il Sismabonus è l’unica strada per riuscire a rigenerare buona parte del patrimonio edilizio del nostro territorio – dice il presidente di Ance Catania, Rosario Fresta -. Con la scossa di ieri (magnitudo 4.7, niente di paragonabile al tanto temuto “Big One” di cui parlano gli esperti), i cittadini hanno toccato con mano la vulnerabilità delle nostre case, delle nostre scuole, delle nostre chiese. Affinché però possano arrivare i risultati sperati, è necessario estendere la durata degli incentivi e adeguarli alle complessità degli interventi di messa in sicurezza e riqualificazione. Abbiamo una vera e propria bomba naturale sotto i piedi, che va disinnescata al più presto con interventi oramai improrogabili. L’espansione immobiliare di Catania, quella degli anni 60, è avvenuta precedentemente all’entrata in vigore della legge dell’85, che ha segnato un grande passo avanti in termini di antisismicità: il risultato è che il nostro parco edilizio cittadino, oltre ad essere obsoleto ed energivoro, non avrebbe alcun tipo di contromisura in caso di terremoto. Nelle zone residenziali, così come in quelle popolari: nessun escluso. Lavorare attraverso una pianificazione mirata alla prevenzione e alla gestione del rischio dev’essere per l’Amministrazione centrale una priorità indiscutibile. Occorre un Piano Urbano Generale che tenga in considerazione tutti i possibili scenari di emergenza, per consentire alle città – soprattutto a quelle più a rischio come Catania – di resistere a eventuali urti: servono interventi radicali di rigenerazione urbana. Noi siamo pronti per fare la nostra parte“.
Per il presidente dell’Ordine degli Architetti di Catania, Rosario Greco, invece, “abbiamo scelto di insediarci in questo territorio consapevoli della sua ricchezza e della sua vulnerabilità, ma non possiamo non pretendere di fare il massimo affinché questa coesistenza sia sicura e rispettosa della dignità umana. Chi deve fare una scelta politica non può permettersi di essere complice di una possibile disgrazia. Siamo gli attori tecnici di questo puzzle in cui ognuno deve fare la propria parte e pretendiamo che ancora prima della proprietà privata, troppo spesso messa al primo posto della nostra scala di valori, abbia spazio la consapevolezza dell’importanza di ogni singola vita. Programmare la sostituzione edilizia è una scelta di campo che necessita di coraggio, e che ogni cittadino, ancorché attore della gestione civica di un Paese, deve attuare“.
Ultimo a intervenire è il presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Catania, Mauro Scaccianoce. “Nell’ultimo mezzo secolo lo Stato italiano ha speso più di 3 miliardi l’anno per attività di ricostruzione da eventi catastrofici. A Catania il 50% del patrimonio edilizio non è in sicurezza, così come il 75% delle scuole. La città etnea è stata dichiarata zona sismica con decreto ministeriale del 1981, ma l’87,8% degli edifici ad uso residenziale è antecedente alla normativa. Dunque l’adeguamento antisismico è l’unica urgente contromisura per salvaguardare i cittadini e il patrimonio immobiliare. È necessario impegnare ingenti somme per la prevenzione. Con il Superbonus è stato privilegiato l’efficientamento energetico, ma è necessario incentivare anche la sicurezza tenendo conto della diversa classificazione sismica di ogni costruzione, mettendola al centro della stima immobiliare, creando incentivi sulle tassazioni e prevedendo premialità volumetriche per la demolizione e ricostruzione. Serve un piano pluriennale, che miri a porre in sicurezza edifici pubblici e privati sull’intero territorio nazionale. Un piano organico di ristrutturazioni che punti all’adeguamento o al miglioramento antisismico. La leva fiscale ha dimostrato di essere uno strumento fondamentale nei processi di rigenerazione e sostituzione edilizia. Accanto agli incentivi ordinari, bisogna insistere sul Sismabonus che ha invogliato molti a realizzare lavori di ristrutturazione edilizia sugli immobili di tipo abitativo, per quelli utilizzati per attività produttive e per gli interventi di demolizione e ricostruzione. Altra priorità è la riclassificazione del capoluogo etneo da zona sismica 2 a zona 1. L’ultima mappatura risale al 2003 e necessita di adeguamento. Nel frattempo, le scosse avanzano, generando paura, danni, allarmismo, emergenze“.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni