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Vince 15mila euro, ma non può incassarli: la storia di Ansu dal Gambia

Ha vinto una bella somma giocando una schedina Planetwin da 3 euro azzeccando 21 risultati di partite di calcio internazionali

Una giocata da 3 euro, una vincita di 15.151,05 e una necessità: ricostruire la dentatura – segno visibile delle violenze subite – e curare le diverse patologie di cui soffre. Potrebbe essere una storia a lieto fine ma invece è l’inizio di un nuovo incubo perché su di lui pende un decreto di espulsione.

Lui si chiama Ansu Drammeh, è originario del Gambia, ha 29 anni e da maggio del 2016 è in Italia. Ha vinto una bella somma giocando una schedina Planetwin da 3 euro azzeccando 21 risultati di partite di calcio internazionali.

Non può incassare la vincita ed è rinchiuso al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Trapani perché la Questura di Catania gli ha notificato un decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Catania, con provvedimento immediatamente esecutivo e con accompagnamento coattivo alla frontiera. Permesso di soggiorno scaduto e tutto per colpa di quella schedina e della ingenuità di Ansu o meglio, della sua assoluta sincerità, dettata dal fatto di non avere nulla da nascondere.

Ansu da anni vive a Ramacca, lavora in campagna, è inserito e conosciuto, un ragazzo tranquillo, insomma, che sopravvive con dignità. Era da poco maggiorenne quando è andato via dal Gambia. Il fratello di sua madre lo voleva costringere a sposarsi ma lui non voleva. Rifiutare un matrimonio combinato non sta bene, è un affronto per la famiglia e un male per la collettività, “vieni visto male” dice Ansu, che decide di andare in Libia pensando di trovare un posto sicuro dove curarsi e guadagnare qualcosa.

Deve curarsi perché ha una patologia agli organi genitali oltre a ragadi ed emorroidi. Ha subìto un incidente che gli ha provocato difficoltà ad urinare. A dorso di un mulo con la schiena deformata dalla magrezza degli stenti, Ansu prende un forte colpo, sviene.

“Ero al nono anno di scuola quando mi è successo. Sono andato all’ospedale di Basse e di Combo per curarmi, avevo difficoltà a urinare. Quando avevo i dolori sentivo tutto il mio corpo pulsare. Nel 2009 non avevo nessuno che potesse aiutarmi a sostenere i costi per curarmi, così ho dovuto lasciare la scuola perché non avevo la salute e i soldi”, si legge nei verbali della Commissione richieste di protezione internazionale visionati dall’Agi.

Mamma e papà sono contadini, in famiglia c’è anche una sorella; il padre muore quando Ansu ha 10 anni. È Ansu a pensare che forse il matrimonio combinato imposto dallo zio poteva essere un modo per non occuparsi più di lui, per non pagare la scuola, e per le cure neanche a pensarci. Vede quindi la Libia come una soluzione, vende la sua parte di terreno e parte.

Ansu attraversa il suo Paese, il Gambia, e poi Senegal, Mali, Burchina Faso e Niger. In Libia ci starà due anni; 11 mesi in carcere, arrestato per tre volte, non si sa per cosa, maltrattato e picchiato, derubato: lì funziona così. “L’ultima volta – dice – mi hanno preso 1000 dinari e mi hanno caricato su un barcone”.

Oltre ai suoi mali che non se ne vanno, se ne aggiunge un altro, un dito della mano destra che non può più usare: “Lavoravo in una cava, dovevamo spaccare pietre per fare mattoni, lì mi sono rotto un dito; le guardie non ci facevano smettere di lavorare, anche se stavi male o ti facevi male… dovevi lavorare e basta”. Riposava in una specie di dormitorio con tutti gli altri operai della cava. Arriva in Italia, Lampedusa, ringrazia Dio per come è stato accolto, “mi hanno salvato dal mare – dice alla commissione – spero che Dio restituisca loro il bene che hanno fatto”. Viene portato prima al Cara di Mineo e poi si trasferisce a Ramacca. La sua richiesta di asilo viene respinta e il suo permesso di soggiorno scade a febbraio del 2019, poi la pandemia, altri pensieri, mamma e sorella lontane.

Ansu si guadagna da vivere lavorando nei campi, e ogni tanto tenta la sorte. Ed è a gennaio che con 3 euro azzecca la vincita da oltre 15mila euro. Va a incassarla ma, pur avendo una schedina al portatore, il titolare del centro scommesse gli chiede un documento che lui non ha.

Chiama i carabinieri, che vanno al centro e gli spiegano che le norme antiriciclaggio prevedono questo; gli consigliano di rivolgersi alla questura per avere un documento. Comincia l’incubo: viene fuori quel permesso di soggiorno scaduto e la domanda di asilo respinta. Viene portato a Trapani in attesa di espulsione.

L’avvocato Gaetano Pasqualino, che a preso a cuore la vicenda di questo ragazzo, racconta all’AGI il tunnel in cui Ansu è infilato: due ricorsi presentati, uno contro il decreto di espulsione, e l’altro contro il diniego dello status di rifugiato. Ansu è cresciuto nella città di Serrekunda, in Gambia, al confine con la regione senegalese del Casamance, attualmente colpita da una situazione di violenza generalizzata. Penserà lui a incassare la vincita e a girarla al suo cliente.

Potersi curare e rifarsi i denti. Non chiede altro, Ansu, se non cancellare ciò che lo fa soffrire: i segni delle brutalità subìte e le conseguenze di quell’incidente che gli ha reso la vita ancora più difficile di quanto già fosse. Tornare in Gambia potrebbe rappresentare un pericolo concreto. Ha rifiutato un matrimonio combinato, un’offesa che potrebbe mettere a rischio la sua stessa vita. Una schedina che poteva essere l’inizio di una nuova vita, potrebbe esserlo di una nuova tragedia.


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