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La tragedia, la pace, il perdono: a Catania Gemma Calabresi Milite racconta la sua storia

L’evento farà da conclusione alla serie di appuntamenti “Oltre la pena. Incontrare persone. Ricomporre relazioni”, promossa da Fondazione Francesco Ventorino, dall’Arcidiocesi di Catania, dal Centro Culturale di Catania e dalla Fondazione Sant’Agata

Milano, 17 maggio 1972. Il commissario Luigi Calabresi si sta dirigendo a lavoro, presso la Questura della città meneghina, quando due militanti del movimento di estrema sinistra Lotta Continua gli tendono un agguato fatale. È uno dei primi e dei più eclatanti atti di terrore degli anni di piombo. Ma è anche l’inizio di un’altra storia, non meno dolorosa: quella di Gemma Calabresi Milite, rimasta vedova a soli 25 anni con tre figli da crescere e un lutto immenso da rielaborare. Una storia che la donna racconterà personalmente a Catania sabato 25 febbraio 2023 alle ore 16.00 presso il Palazzo della Cultura (Via Vittorio Emanuele II, 121) in occasione della presentazione del libro La crepa e la luce (Mondadori, 2022). L’evento farà da coronamento alla serie di appuntamenti dal titolo Oltre la pena. Incontrare persone. Ricomporre relazioni promossa dalla Fondazione Francesco Ventorino, dall’Arcidiocesi di Catania, dal Centro Culturale di Cataniae dalla Fondazione Sant’Agata. A moderare l’incontro sarà Anna Sortino, presidente del CCC.

“Scrivo questo libro per lasciare una testimonianza di fede e di fiducia. Per raccontare l’esperienza più significativa che mi sia capitata nella vita, quella che le ha dato un senso vero e profondo: perdonare”. È così che l’autrice descrive il suo percorso di vita e di fede. Un cammino faticoso, che l’ha vista più volte scontrarsi con la tentazione di cedere alla rabbia e al desiderio di vendetta, a domandarsi il perché di un simile destino. “La fede non toglie il dolore, ma lo riempie di significati. Ci sono stati anni bui, di tristezza, abbandono, pianto”. A questi, tuttavia, Gemma ha affiancato sin da subito altri, più nobili sentimenti: dignità e compassione. Fin dal primo momento, quello del dolore più acuto: “Quando il parroco mi ha comunicato della morte di Luigi, sono rimasta seduta sul divano per parecchie ore. Poi all’improvviso ho avuto una sensazione di ovattamento, di grande pace, e ho iniziato a sentirmi forte. Riesco a pensare: ce la farò. E dico al parroco: diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino. Non poteva essere farina del mio sacco”.

Una pace che Gemma Calabresi Milite porta con sé da ormai cinquant’anni. Perché anche dalla tragedia più immane si può ricominciare a sperare. A guardare alla giustizia e alla morale non nell’ottica di una punizione, ma di una riconciliazione. A seminare amore e vita dove prima c’era stata soltanto la morte.


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